L'intervento è finanziato da 2 milioni di euro e comprende anche il miglioramento dell’accessibilità del parco e la rifunzionalizzazione delle due serre ottocentesche
Via libera dalla giunta comunale, su proposta del vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici Pietro Piciocchi, al progetto definitivo per il completo restauro e la valorizzazione del complesso dell’orto botanico Clelia Durazzo Pallavicini, a Pegli. L’intervento, finanziato da 2 milioni del Pnrr, comprende anche il miglioramento dell’accessibilità del parco e la rifunzionalizzazione delle due serre ottocentesche, della serra delle ninfee (costruita tra il 2003 e il 2004) e della serra cosiddetta “il trenino” (realizzata negli anni Sessanta). L’orto botanico si estende su una superficie di oltre 4.000 metri quadri. «È uno dei parchi storici più belli d’Italia, che da anni si trova in uno stato di profondo degrado e abbandono – spiega il vicesindaco Piciocchi – siamo molto soddisfatti di poter finalmente avviare il completo recupero di un sito straordinario con un intervento complesso che, una volta terminato, restituirà alla delegazione di Pegli e alla città intera un autentico gioiello, riaperto, dopo anni, al pubblico. Il parco è sicuramente uno dei luoghi del cuore per tantissimi genovesi, non solo pegliesi, come è dimostrato dalle sollecitazioni che ci sono arrivate da più parti per intervenire sull’orto botanico. Crediamo molto nella valorizzazione dei parchi storici e del patrimonio delle nostre ville e palazzi che, con i lavori finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, potranno tornare ai fasti delle origini e soprattutto acquisire un nuovo valore culturale, una fruibilità e un’accessibilità per tutti i genovesi oltre che diventare una forte attrattiva per i visitatori della nostra città».
L’Orto Botanico oggi chiamato Clelia Durazzo è stato realizzato alla fine del Settecento per volere della marchesa, giunta a Pegli nel possedimento dei Grimaldi sposando il marchese Giuseppe. La marchesa trovò a Pegli la condizione climatica ideale per impiantare un orto dedicato alla coltivazione di piante indigene ed esotiche. A inizio Ottocento, l’orto della marchesa Clelia si distingueva per la ricchezza e la scientificità delle sue raccolte, in buona parte piante esotiche, che venivano coltivate in serre calde. Dopo la morte di Clelia Durazzo, nel 1846 il nipote Ignazio Pallavicini faceva spianare il lotto dell’orto ed erigeva una delle serre grandi per destinarla alle piante esotiche. Le Guide dell’ottocento lo descrivono come luogo di delizie: le due serre grandi nel 1865 erano ancora utilizzate per la coltura dei banani e delle canne da zucchero. L’ultimo membro della famiglia che si occupò dell’orto botanico è stata la principessa Matilde Giustiniani che lo riorganizzò, realizzando un piccolo giardino all’italiana, al posto del boschetto d’agrumi, e un vivaio, articolato attorno alle serre preesistenti. Dopo il 1928, con il passaggio al Comune di Genova, vennero realizzate due grandi serre longitudinali con chiosco centrale. Queste due, furono sostituite dal Comune di Genova, presumibilmente negli anni ‘60 con le serre chiamate “il trenino” che da quel momento furono dedicate alle collezioni delle orchidee, delle piante succulente e delle piante carnivore. Alla fine del secolo scorso, l’orto era già in uno stato di avanzatissimo degrado. Nel 2000 venne eseguito un progetto per il restauro globale che fu realizzato in due fasi tra il 2000 e il 2004. In quell’occasione furono restaurate le due serre monumentali e il trenino, fu demolita la serra posticcia dove si coltivava la ninfea Victoria regia, che fu sostituita con una nuova serra a carattere contemporaneo contenente una grande vasca per la stessa coltivazione. Fu ristrutturato e razionalizzato il giardino ovest in forme geometriche, voluto dalla marchesa Giustiniani, mentre fu ridisegnato lo spazio esterno della parte est progettando le vasche per la coltivazione delle piante acquatiche disposte a compendio della nuova serra delle ninfee. La collezione botanica fu riprogettata con lo scopo di dotare questo orto, tra i più piccoli d’Italia, di un programma di coltivazione, esposizione e visita particolare e unico per offrire al visitatore un preciso taglio didattico informativo. Dal 2016, a causa del degrado degli impianti, delle serre e delle coltivazioni, orto e parco sono stati chiusi al pubblico.