«L’errore più grande che possiamo compiere è quello di limitarci ad una memoria del passato, senza avere il coraggio di domandarci come sia stato possibile tanto abominio e dolore».
Così il vicesindaco di Genova Pietro Piciocchi nel giorno della Marcia della Memoria in occasione dell’80° anniversario della deportazione degli ebrei di Genova. «Non possiamo fermarci ad una analisi superficiale- ha continuato Piciocchi- dobbiamo avere il coraggio di capire e di guardare il mostro in faccia e provare a dare alcune risposte. Erasmo da Rotterdam diceva che sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe e non dobbiamo vergognarcene. Questo nostro stare insieme stasera, diventa più di una marcia: è un pellegrinaggio della coscienza, un viaggio interiore, una purificazione e una riflessione profonda, ma a tratti anche scomoda, perché dobbiamo decidere da che parte stare. Purtroppo, la storia insegna che non cambia mai quella parte meschina dell’uomo mai paga della lezione della guerra, che alimenta l’odio sui più deboli e l’intolleranza più odiosa. Per questo la cosa più bella che possiamo portarci a casa oggi è diventare operatori di pace, senza rassegnarci mai a vedere le cose andare sempre nello stesso modo».
Il vicesindaco Piciocchi ha parlato in Galleria Mazzini, davanti a centinaia di persone, dopo la Marcia della Memoria, partita dalla Sinagoga di Genova, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, insieme alla comunità ebraica di Genova e al Centro culturale Primo Levi. Era presente anche il presidente del Consiglio comunale di Genova Carmelo Cassibba. Sono intervenuti sul palco il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti, Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Andrea Chiappori, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Liguria, Alberto Rizzerio, presidente del Centro Culturale Primo Levi, Edith Bruck, scrittrice e testimone della Shoah.
Le celebrazioni a Genova Da tredici anni la Comunità di Sant’Egidio, la Comunità Ebraica di Genova e il Centro culturale Primo Levi, ricordano i tragici eventi del novembre 1943 con una marcia silenziosa, illuminata dalle fiaccole e accompagnata dai nomi dei campi di sterminio, che tocca tutti i luoghi che fecero da scenario a quegli eventi e in particolare Galleria Mazzini – il punto dove venne arrestato il rabbino Emanuele Pacifici, ricordato da una “pietra d’inciampo” – e la Sinagoga di passo Bertora, che il 3 novembre di 80 anni fa venne profanata dalla retata nazista che diede inizio alla deportazione degli ebrei genovesi. Si tratta di un evento che coinvolge tutta la città (soprattutto i giovani, le scuole, persone di diversa nazionalità e religione) che nasce dall’antica amicizia di Sant’Egidio con gli ebrei: a Roma, dal 1994, una manifestazione ricorda ogni anno la deportazione della comunità israelitica, il 16 ottobre 1943, ed è diventata ormai un appuntamento per tutta la città, con una grande presenza anche delle comunità immigrate.
Nel 2010 Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, ricordò la figura del nonno Riccardo, rabbino di Genova catturato e ucciso in Galleria Mazzini nel novembre 1943. Il 3 novembre 1943 scattò la retata della sinagoga di Genova. Attirati con uno stratagemma al Tempio, diversi ebrei genovesi vengono arrestati dalle SS e quindi portati a Marassi. Alcuni però si salvano, grazie all’allarme di una donna che, accortasi della trappola, facendo cenni dalla finestra al principio della via, riuscì ad avvisare i malcapitati di quanto stava succedendo. Nei giorni successivi gli arresti riguardano varie abitazioni di ebrei genovesi e coinvolgono anche le Riviere. Sono oltre cinquanta gli ebrei catturati nei primi giorni di novembre in Liguria.
Il 1° dicembre vengono inviati a Milano, e da lì in treno ad Auschwitz. Di quel primo gruppo si salva solo Giuseppe Di Porto, ebreo romano che aveva cercato scampo a Genova, ma che in città fu catturato dai tedeschi. Complessivamente furono 261 gli ebrei genovesi deportati (più del 20% degli iscritti alla Comunità), alcuni catturati in città, altri mentre cercavano di raggiungere luoghi sicuri, come la Svizzera. Tornarono solo in venti.