La mostra, che sarà visitabile a Castello D’Albertis dal 18 novembre al 6 marzo, nasce dai ricordi materiali del primo viaggio intorno al mondo del Capitano d’Albertis, dal Borneo al Perù, attraverso India, Australia e Nuova Zelanda, Cina e Giappone, Stati Uniti e Centroamerica.
Esposti come in una camera delle meraviglie e riproposti in trofei di caccia secondo l’allestimento dell’epoca voluto dal Capitano d’Albertis, questi oggetti materializzano lo sguardo ottocentesco verso l’Altro, che in mostra ci accompagna fino ai nostri giorni, aiutandoci a passare da una concezione in cui le popolazioni indigene extraeuropee erano trattate come oggetto di scatti fotografici ed esposizioni esotiche, ad una in cui vengono coinvolte come soggetto a pieno titolo della rappresentazione e della storia.
Gli incontri e gli eventi di questo viaggio durato un intero anno e riempiono un grande albo dei ricordi del Capitano d’Albertis, esposto in mostra e ora anche fruibile digitalmente insieme alla sua copia rinforzata. Tra le numerose storie, ce n’è una in particolare che ha aperto per il museo nuove e inaspettate narrative e connessioni: la ricevuta di acquisto dallo studio di Melbourne del fotografo tedesco J.W. Lindt (1845-1926) di immagini scattate in Australia (Clarence River Valley), scatti di staged photography, costruiti appunto in studio da Lindt stesso, che ritrae aborigeni australiani e paesaggi pittoreschi.
In questa prospettiva, la partecipazione al nostro progetto da parte del massimo esperto di J.W. Lindt, lo storico della fotografia australiano Ken Orchard, ci ha fornito informazioni e contenuti su queste immagini inedite, che a loro volta hanno contribuito a rispondere a interrogativi ancora aperti sulla vita e le opere di questo grande fotografo.
La collaborazione con la ricercatrice Monica Galassi e il suo progetto Archivi Aborigeni in Italia hanno messo in luce l’importanza di queste fotografie per la ricostruzione della storia coloniale australiana. La collaborazione con Marika Duczynski (aborigena, del gruppo Gamilaraay) ha messo in luce come questa documentazione sia preziosa perché connessa a persone e culture viventi e non ferme nel tempo. Infine, l’incontro nel 1878 del d’Albertis con Edoardo Chiossone, a cui sarà intitolato in Museo di Arte Orientale di Genova, viene celebrato con una sala dedicata al Giappone non solo con le opere acquistate dal Capitano, ma con interessanti integrazioni dal museo orientale.
Tra queste, l’albo di fotografie di usi e costumi giapponesi, realizzate e stampate dal Barone Raimund von Stillfried nel suo studio di Yokohama, è rivelatore di una interessante storia che, con le dovute differenze, mette in luce la prassi internazionale che si stava consolidando sul finire dell’800, dell’uso della fotografia come strumento e segno di appropriazione culturale.
I diversi filoni tematici di questa mostra (l’albo di viaggio come narrazione ottocentesca e la sua fruizione digitale, il ritrovamento del corpus di fotografie di J.W.Lindt acquistate dal Capitano d’Albertis e lo sguardo dell’epoca sull’Altro, il Giappone e l’incontro con E. Chiossone) ha quindi il suo climax nella cura delle relazioni con le popolazioni di provenienza delle collezioni, tema cardine degli ultimi decenni nei musei di antropologia di tutto il mondo.
Colazione a Melbourne e pranzo a Yokohama è stata curata da Maria Camilla De Palma, in collaborazione con Ken Orchard e Monica Galassi.