LAVORO SOMMERSO
UN PO' DI STORIA
Il lavoro sommerso dal 1992 al 2003.
ll dibattito sul lavoro sommerso ha origini negli anni ’70, quando il nostro Paese viene coinvolto in processi di ristrutturazione industriale che, accanto alla profonda riorganizzazione del tessuto produttivo e della struttura del mercato del lavoro, producono la crescita delle dimensioni della cosiddetta economia informale.
Le cause dello sviluppo del sommerso vengono individuate nella fase di recessione dell’economia italiana che, comportando la fuoriuscita dal mercato ufficiale delle forze di lavoro, ha favorito l’insorgere di occupazioni “alternative”, nonché nell’esigenza delle imprese di rendere meno rigida la struttura occupazionale attraverso soluzioni più flessibili sottratte alla rilevazione statistica.
Ed ancora, nel maggiore potere contrattuale del sindacato che, grazie all’affermarsi di regole più garantiste per i lavoratori, ha richiesto, con forza, la riduzione degli orari, l’abolizione del cottimo e il ridimensionamento dei ritmi di lavoro.
Negli anni ’80 – con l’alta inflazione, l’aumento del debito pubblico e la crescita occupazionale prodotta dall’espansione del settore terziario – il fenomeno dell’economia sommersa rimane in ombra, svolgendo il ruolo di ammortizzatore di costo e di produttore di flessibilità.
Agli inizi degli anni ’90, contestualmente al processo di convergenza con i parametri di Maastricht, il sommerso acquista vitalità nel dibattito politico ed economico.
Il concetto di lavoro regolare e non regolare è strettamente connesso a quello di attività produttive osservabili e non osservabili comprese nei confini della produzione del sistema di contabilità nazionale.
Sono definite regolari le prestazioni lavorative registrate e osservabili sia dalle istituzioni fiscali-contributive, che da quelle statistiche e amministrative. Di contro, sono considerati non regolari e prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.
Rientrano in tale categoria le prestazioni lavorative: 1) continuative, svolte non rispettando la normativa vigente; 2) occasionali, svolte da persone che si dichiarano non attive in quanto studenti, casalinghe o pensionati; 3) svolte dagli stranieri non residenti e non regolari; 4) plurime, cioè le attività aggiuntive rispetto alla principale, non dichiarate alle istituzioni fiscali.
Riepilogando perciò, Il fenomeno del LAVORO SOMMERSO IN ITALIA affonda le sue radici lontano nel tempo, esso è caratterizzato da condizioni di lavoro non idonee alle leggi che regolano la materia, sia dal punto di vista della sicurezza sul lavoro che dal punto di vista della regolarità contrattuale della prestazione lavorativa, contribuendo così ad alimentare l'evasione fiscale. Si parla, in genere, di lavoro "nero" per indicare quel fenomeno in cui l'irregolarità delle prestazioni è totale, ossia l'attività viene retribuita, ma non dichiarata alle autorità pubbliche, mentre si parla di lavoro "grigio" quando le irregolarità sono marginali e per lo più corrispondono a considerazioni di convenienza, come ad esempio l'occultamento di forme di contratto a tempo pieno attraverso l'utilizzo di contratti atipici (a progetto ecc.).
Secondo ricerche realizzate dall'ISTAT, l'economia sommersa del nostro paese nella sua interezza (quindi inglobando il lavoro sommerso e i fenomeni legati all'evasione fiscale) è stimabile fra il 17% e il 21% dell'intero PIL nazionale, ciò rende bene l'idea delle pesanti ripercussioni che tale fenomeno ha sulla ricchezza nazionale. Il problema è dunque fortemente presente nel nostro territorio, ma non in maniera uniforme, esistono infatti marcate differenze fra Sud e Centro Nord: in regioni come la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Campania, il lavoro sommerso tocca punte del 40-50% del PIL regionale, mentre in altre regioni come l'Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige, il Lazio e la Lombardia il fenomeno, pur essendo sempre presente, ha dei numeri molto meno rilevanti (circa il 10%).
Per ciò che concerne la distribuzione e l'incidenza del lavoro sommerso nel nostro sistema economico emerge come alcuni settori e professioni siano maggiormente esposte al rischio. Infatti, settori tradizionali come l'agricoltura, l'edilizia, la ristorazione e i servizi sia domestici che alle imprese, ne sono particolarmente interessati, ciò per 2 ragioni sostanziali:
1- l'elevata intensità del lavoro;
2- l'ampio ricorso a forme di sub-fornitura, in particolar modo laddove i controlli sono più complessi a causa della stagionalità dei rapporti di lavoro e dell'elevato turnover del personale.
Negli ultimi anni, tuttavia, il lavoro nero è aumentato considerevolmente anche nella cosidetta "economia flessibile", ossia in quei lavori in cui l'utilizzo della tecnologia rende più complesso il controllo e la scoperta delle irregolarità. In quest'ultimo gruppo di lavoratori rientrano principalmente i giovani, i quali essendo ai primi approcci con il mondo del lavoro si trovano in una posizione di debolezza contrattuale.
Quando si analizza il lavoro sommerso bisogna anche tener conto del suo rilevante legame con il fenomeno dell'immigrazione, infatti spesso per gli immigrati questa è l'unica possibilità di sostentamento e può facilmente trasformarsi in forme di sfruttamento lavorativo. Inoltre gli immigrati sono maggiormente inclini a ricoprire impieghi scarsamente specializzati, precari e logoranti oltremodo dal punto di vista fisico.