Antichi mestieri Bugaixe

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La canzone di Mario Capello, conosciuta da moltissimi, ma certamente da tutti i genovesi ,”Ma se ghe penso” è uno spaccato della vita popolana a Genova subito dopo la Prima Grande Guerra 1915 / 1918 allorquando l’Italia tutta , Genova compresa , era gravemente ferita e bisognosa di risollevarsi.I nostri nonni furono costretti , stante la carenza di lavoro, ad imbarcarsi per l’estero in cerca di fortuna e con la speranza di trovare un onesto lavoro e quindi di guadagnare qualcosa per dare sostentamento alle loro famiglie lontane e bisognose. In questo contesto le donne rimaste in città con i figli da crescere dovevano per forza inventare qualcosa per guadagnare quei pochi soldi indispensabili per tirare avant , in attesa di denari spediti da mariti, padri e figli tanto lontani. Le donne genovesi grazie alla loro proverbiale forza morale e fisica, e con fantasia ed ingegno inventarono mestieri ed attività oramai scomparsi per sostenere la famiglia e quegli uomini che , perché troppo vecchi o troppo piccoli non avevano potuto seguire gli altri. Fu così che nacquero mestieri fantasiosi, ancorché necessari, “ a meistra de giancaia, a venditrice de nisseue, a donna da margheitin, a bugaixe, ecc. Bugaixe , parola dialettale che trae origine da “ bugâ” bucato, significa semplicemente lavandaia, attività che alcune donne svolgevano lavando e stirando, non solo i propri panni ma anche indumenti e biancheria di altre persone , naturalmente dietro pagamento. L’attività era svolta nei “caroggi , dove erano presenti fontane , truogoli e lavatoi pubblici , e forse tra questi, il più suggestivo e ricco di storia è quello denominato i “Truogoli di Santa Brigida”, antichi lavatoi situati in una traversa di via Balbi, ora ritornati di bella immagine dopo recenti lavori di ristrutturazione. Storicamente colà sorgeva una chiesa dedicata ad una principessa svedese Brigida che aveva abitato a Genova alla fine del 1300 e che in quel breve soggiorno aveva svolto attività di volontariato per i pellegrini e viandanti e ammalati ospitati in un piccolo dormitorio/ospedale attiguo alla chiesa, che prenderà il nome , dopo essere stata santificata, di Santa Brigida. Tuttora nella città esiste , tra via Carabaghe e vico Gattilusio, nella zona di Porta Soprana, una piccola corte che ricorda quell’antico mestiere la “Piazzetta delle Lavandaie”. Raggiungevano i lavatoi una dietro l’altra con i panni appoggiati in equilibrio sopra la testa, appoggiati sulla “cercina” (dal latino circinus) costituito da un panno attorcigliato a forma di ciambella che agevola l’equilibrio delle cose poste sopra la testa, oppure tenuti stretti sotto le braccia. Poi, dopo essersi accovacciate quasi sempre nello stesso posto , incominciavano , piegando la schiena , a insaponare e insaponare freneticamente e poi a risciacquare intonando i soliti ritornelli cantilene che regolarmente avevano per oggetto gli amati figli o gli uomini apportatori storicamente per le donne di gioie e dolori, ma utili almeno in questo contesto, per essere oggetto di sarcastiche barzellette o pungenti aneddoti. . Al finire del giorno stanche ma serene ritornavano con i panni lavati per il secondo tempo cioè la stiratura ed infine la consegna ai proprietari ed il loro relativo pagamento. Quasi tutte, erano specialiste nel lavare i panni ed i pannolini dei piccoli, quando la modernità non aveva ancora inventato quelli attuali usa e getta. Possiamo sentenziare, e senza ombra di dubbio , che questa attività sia un “mestiere scomparso a Genova”.

 

PICCOLO GLOSSARIO ITALIANO - GENOVESE

 

bucato, rimbiancatura di pannolini sudici: bugâ
lavandaia o lavandara , colei che lava i pannolini a prezzo: bugaixe
biancheria pulita di bucato, candidissima: giancaia netta de bugâ
truogo, truogolo , lavatoio, vasca pubblica normalmente di forma rettangolare di pietra o di mattoni spesso situata in un angolo della corte usata per abbeverare le bestie, o per sciacquare verdure e cose di cucina, o per lavarvi indumenti vari, alimentato da rivi sotterranei o da acqua proveniente da pozzi: treuggio

 

 

Testo di Claudio Pittaluga
Illustrazione di Gino Andrea Carosini

Ultimo aggiornamento: 20/04/2020